Nell’industria del lusso la narrazione del brand non solo svolge un ruolo fondamentale per il successo commerciale dei prodotti ma ne è una vera e propria parte costituente. L’assenza di una narrazione accurata e centrata sul cliente, che lo valorizzi e lo celebri nella sua unicità, non solo comporta la perdita di quote di mercato e mancati guadagni, ma, oggi, rende il prodotto niente meno che “difettoso”, inadeguato ai tempi e manifesta un atteggiamento che non può non essere definito come “arrogante”.
La narrazione dei brand di lusso e Gen Z: cosa cambia
Se l’arroganza, od anche un semplice atteggiamento di “sostenuta superiorità”, hanno, ormai da un buon decennio, perduto ogni loro validità, se ma ne avessero avuta alcuna, a livello di mercato in generale, sono oggi completamente obliterati da parte di quella classificazione demografica che, per comoda e pericolosa necessità di sintesi, va sotto il nome di “Gen Z” che ha definitivamente decretato uno “swtich” operativo a favore di quello che in termini “tecnici” è sato brillantemente sintetizzato come “barefoot luxury” ovvero un modello economico che non permette alcuna forma ostentazione autoreferenziale, nemmeno da parte delle più blasonate case del lusso mondiale.
“Gen Z” è forse uno dei termini più usati ed abusati sulla stampa di settore e non solo.
Se il riferimento alla sigla fosse proporzionale allo studio effettivo ed alle analisi aziendali fatte in riferimento a questa nuova classe “sociale”, prima che di mercato, il mondo imprenditoriale avrebbe, sicuramente, una maggiore contezza del cambiamento epocale che si trova ad affrontare.

L’impatto economico della Gen Z
Le cose, nella realtà della vita degli operatori economici, non confermano, purtroppo, l’equazione tra “menzione” e “comprensione” del termine “Gen Z” molto probabilmente perché ne viene, ancora, sottovalutato l’impatto economico. Non considerando ancora la Generazione Z come propri clienti, molti brand non comprendono, o volontariamente rifiutano di voler comprendere, l’urgente necessità di adeguamento.
Questa carenza di reattività li mette in un significativo svantaggio strategico rispetto a chi ha, invece, razionalizzato l’importanza “sistemica” di questo cambiamento che è, perfettamente, riassunto da uno dei più grandi esperti di settore, Daniel Langer, che nel suo ultimo editoriale sul portale Jing Daily, così si esprime:
“….molti manager sottovalutano il potere di acquisto di questa generazione, che è la più ricca che abbia mai varcato la soglia del mercato del lusso, soprattutto in Cina. La Generazione Z si aspetta il più grande trasferimento di ricchezza di sempre. Quindi, i brand che non sono ancora pronti per questa generazione pagheranno un prezzo alto nel prossimo futuro”.
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La comprensione del potenziale del digitale
Altro elemento critico, soprattutto nel panorama italiano, è l’acquisizione di una vera consapevolezza dell’importanza del “digitale” che, ancora, è visto, usato e valorizzato, o meglio non-valorizzato, come una mera estensione “immateriale” del “negozio”, del retail fisico, quando dovrebbe essere connotato di una sua propria specificità ed unicità narrativa ed emozionale, prima che commerciale e transattiva.
Questa visione “limitata” dell’utilizzo della tecnologia, che oggi offre punti di contatto sempre più qualificati, immersivi, emozionali racchiusi nella sigla “ER, extended reality”, sarà particolarmente penalizzante proprio in considerazione dei tratti “psicologici” di una generazione, la Z appunto, che si aspetta di esser attivamente coinvolta e sorpresa in ogni occasione di contatto con il brand e il “touch point” digitale, che costruisce il 90% della percezione di valore del brand e delle successive preferenze di acquisto, è cruciale.
Considerazioni finali
Creare valore oggi significa, prima di tutto, creare contenuti che siano un vero e proprio capitale culturale a diretto beneficio di un nuovo segmento di clienti che non sono interessati, anzi detestano, l’autocelebrazione e la narrazione auto-referenziata.La tradizione, la storia e le capacità tecniche del brand diventano sempre più irrilevanti se non riescono a creare e poi a trasferire valori precisi e “azionabili” a questo universo frammentato, sofisticato e poliedrico che è la Generazione Z.
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Il dottor Marco Gianni è un professionista esperto con una vasta esperienza nel campo legale e finanziario. Ha lavorato come avvocato presso lo studio Legale del Professor Bernini, già ministro degli esteri, concentrandosi sul contenzioso commerciale internazionale. Successivamente, ha ampliato le sue competenze internazionali lavorando come manager dello studio legale del Professor Sammarco a Miami, focalizzandosi sul diritto tributario internazionale. La sua carriera nel settore finanziario è iniziata con esperienze presso istituti bancari in luoghi prestigiosi come Lussemburgo, Montecarlo e Zurigo. In seguito, si è trasferito a Londra, dove ha ricoperto il ruolo di manager presso il principale operatore di cambi della City per il mercato italiano. Oggi, il dottor Marco Gianni si dedica alla consulenza strategica nel settore del lusso, collaborando con una delle più importanti agenzie del settore. La sua vasta esperienza professionale e la sua conoscenza del diritto internazionale e delle dinamiche finanziarie lo rendono un consulente affidabile per le aziende che operano nel mondo del lusso.